Grassi essenziali e malattie autoimmuni

Le patologie autoimmuni hanno come denominatore comune il coinvolgimento del processo infiammatorio: il tessuto che viene colpito per errore dal sistema immunitario si infiamma e così va incontro a degenerazione.

 

 

Il processo infiammatorio è regolato da speciali ormoni chiamati eicosanoidi.

Esistono eicosanoidi "buoni" che contrastano l'infiammazione, ed eicosanoidi "cattivi" che la alimentano.

La "materia prima" per costruire gli eicosanoidi sono alcuni acidi grassi polinsaturi, i cosiddetti omega 3 e omega 6: questi grassi sono detti essenziali poiché devono essere necessariamente introdotti con l'alimentazione.

Alcuni esperimenti scientifici, (es. Kremer, et al., Lancet, ’85) su gruppi di pazienti affetti da patologie autoimmuni hanno dimostrato che integrando l'alimentazione con grassi omega 3 si verifica un miglioramento delle condizioni di salute.

Le cause di questo miglioramento sono da imputare (probabilmente) al fatto che variando il rapporto tra i grassi omega 3 e omega 6 è possibile "pilotare" la produzione di eicosanoidi limitando la produzione di quelli che alimentano l'infiammazione e aumentando la produzione di quelli che la inibiscono. Come questo possa avvenire lo si capisce bene osservando il meccanismo di produzione degli eicosanoidi.

Tale meccanismo mostra anche un altra strategia nutrizionale per diminuire la produzione di eicosanoidi "cattivi": limitando la presenza nell'organismo di acido arachidonico.

 

 

Questo può avvenire sia limitando il suo apporto diretto con la dieta, riducendo l'assunzione di carne grassa, tuorlo d'uovo, alcuni pesci;

sia limitanto la trasformazione dell'acido linoleico in acido arachidonico, evitando un eccesso di carboidrati, specie se ad alto indice glicemico.

Alcuni esperimenti scientifici (Kjeldsen-Kragh, Lancet, ‘95; Hafstrom, et al, Rheumatology, ‘01) hanno dimostrato che una dieta vegana (senza carne e latticini) ha migliorato le condizioni di salute di gruppi di pazienti affetti da patologie autoimmuni.

Probabilmente il motivo di questo miglioramento è dovuto al minor apporto di acido arachidonico tipico delle diete vegane (che non contengono carne, pesce e uova).

Occorre però capire che non è la dieta vegana che causa il miglioramento, ma è la diminuzione dell'assunzione di determinate sostanze, conseguente all'adozione della dieta vegana. Il difetto evidente di questo approccio riguarda l'esclusione di alimenti senza considerare il motivo dell'esclusione. Non è nocivo l'alimento in sè, ma la sostanza che contiene. Per esempio, non è necessario eliminare in toto la carne per eliminare l'acido arachidonico: basta eliminare la carne grassa!

Se ci fermiamo a queste evidenze, sembrerebbe possibile eliminare la produzione di eicosanoidi "cattivi" in favore di quelli "buoni" solo con l'alimentazione e l'integrazione, e in ultima analisi fermare l'infiammazione. È quello che credono molti terapeuti che propongono questi metodi alternativi, soprattutto il metodo Hebener.

Terapie nutrizionali

In realtà, sempre osservando bene lo schema, si capisce che il sistema possiede (per fortuna) un sistema di autoregolazione, che non consente di pilotarlo dove si vuole.

Se così fosse, una dieta carente in un acido grasso essenziale porterebbe a effetti devastanti, collasso, dissanguamento, aneurisma se prevalessero gli eicosanoidi "buoni"; trombi, ictus, malattie cardiache se prevalessero i "cattivi".

Il nostro organismo ha notevoli capacità di adattamento ed impensabile di poter variare equilibri così importanti semplicemente con l'alimentazione. E questo vale nel bene e nel male: l'alimentazione non è la cusa delle malattie autoimmuni e quindi non è modificandola che si guarisce.

 

 

Non si può nemmeno negare l'esistenza di evidenze scientifiche che dimostrano che una terapia nutrizionale adeguata può funzionare. Cosa fare allora?

Il problema della tollerabilità

I soggetti colpiti da queste patologie già vivono in una situazione critica, dovendo convivere con il dolore cronico, l'invalidità, l'angoscia per il futuro. In questa situazione il fatto di dover anche seguire una alimentazione rigida, che magari è lontana anni luce dalle proprie abitudini alimentari, può diventare insostenibile.

Questa situazione si riscontra anche negli esperimenti scientifici di carattere nutrizionale, dove parecchi soggetti abbandonano la dieta imposta perché poco si adatta alle loro abitudini.

Se si propone una terapia nutrizionale assicurando risultati certi (come fanno i terapeuti "alternativi"), penso che chiunque la seguirebbe, per quanto rigida.

Se invece si propongono solamente miglioramenti probabili, dubito che in molti siano disposti a un sacrificio aggiuntivo ai tanti che già li affliggono, da protrarre per mesi, senza una speranza certa.

E in ogni caso la dieta andrebbe seguita per sempre, quindi il "sacrificio nutrizionale" dovrebbe sempre essere proporzionale al beneficio, pena l'abbandono della dieta.

Ma nelle malattie autoimmuni, dove si alternano periodi di remissione a periodi di intensificazione dell'infiammazione, spesso è difficile valutare il beneficio di un medicinale, figuriamoci di una dieta!

Per risolvere il problema della tollerabilità e del mantenimento della dieta a lungo termine, il soggetto deve diventare autonomo, capendo come impostare un regime alimentare adeguato e adottando gli accorgimenti nutrizionali meno condizionanti. Vediamo come questo sia possibile.

 

 

 

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