Acrilammide nei cibi

Indice delle risposte pubblicate

Buongiorno, volevo porre dei quesiti circa la questione dell’acrilammide. - Io sono un consumatore e come tale vorrei avere dei criteri di base utili ad individuare quei cibi, prodotti industrialmente e normalmente distribuiti, che hanno elevati livelli di acrilammide. - Mi riferisco in particolare a tutti i prodotti derivati da farina integrale, crusca, avena, segale ecc. Mi sembra di capire che tutti questi cibi se cotti ad alte temperature generano acrilammide: dunque cereali per la colazione, craker, pane integrale, biscotti. Ho letto che ci sono dei modi (di cottura e preparazione) per limitarne le concentrazioni, per esempio lievitazione naturale o cotture "rallentate e non completamente a secco"… - Volevo capire se ci sono prodotti "migliori" di altri, nel senso di minori concentrazioni a parità di peso. Fatto salvo che non c’è un obbligo di legge i produttori di indicare i livelli di acrilammide e nemmeno di misurarli, ho un modo, io consumatore, di valutare, anche approssimativamente, se il Pane di farina integrale del Mulino Bianco è peggio o meglio del Craker Wasa, se il Grancereale Mulino Bianco è peggio o meglio dei Cereali Nestlé... Le indicazioni fornite dal Tollbox del progetto Heatox sono estremamente generiche. Esistono dei criteri un po' più stringenti? - In sintesi estrema: si sono prodotti integrali "cotti" da preferire e prodotti integrali "cotti" da limitare o addirittura da evitare? Esistono già produttori sensibili a questo potenziale problema, che usano dei metodi per la riduzione dei livelli di acrilammide? Esiste una certificazione? Grazie molte per l'attenzione.

 

 

 

 

Di acrilammide ne avevo già parlato l'anno scorso, prima della conclusione del progetto Heatox, lo studio della UE iniziato dopo che, nel 2002, alcuni ricercatori svedesi avevano individuato livelli elevati della sostanza in alimenti trasformati come le patatine fritte.

Il progetto Heatox ha confermato ciò che avevo dedotto l'anno passato, facendo ragionamenti puramente di buon senso, cioè che per limitare il livello di acrilammide nei cibi è sufficiente una sana alimentazione, e in particolar modo:

  1. essere in peso forma e dare la giusta importanza alle proteine;
  2. limitare la temperatura di cottura dei cibi.

 

 

Il punto 1) consente di limitare in modo drastico il consumo di prodotti da forno, fritti, e in generale il consumo di carboidrati ad alta densità, i principali responsabili dell'assunzione di acrilammide. Chi è magro non può di certo permettersi di assumere frequentemente questo tipo di cibi, e un conto è mangiarsi 2 fette biscottate o 4 biscotti, un conto è mangiarne 4 volte tanto.

Il secondo è un punto fermo del mio modo di cucinare, tant'è che nel mio modello di cucina ho eliminato il termine "soffriggere" a favore del termine "cuocere": in cucina i grassi andrebbero portati a temperature non superiori ai 100-120 gradi il che significa, per esempio, che la temperatura alla quale si soffrigge dovrebbe essere la minima che consente di vedere l'olio "sfrigolare" (intorno ai 100-110 gradi, basta usare un termometro da cucina per verificarlo).

Per quanto riguarda i cibi industriali, quelli da te menzionati non sono di certo i più a rischio, quindi direi di non preoccuparsi troppo. Inoltre, non esiste una banca dati né è obbligatorio indicare in etichetta i livelli di acrilammide... Quindi cosa facciamo, non mangiamo più crackers? Bisogna usare il buon senso senza essere ortoressici. In questi casi la strategia che paga di più è quella di variare spesso i prodotti consumati (tipo di prodotto e/o marca), in questo modo il rischio di sovradosaggi è limitato al massimo.

Ma soprattutto, occorre limitare il consumo di cibi tostati fino al colore bruno: pensiamo al pane tradizionale cotto in forno a legna, che spesso hanno la crosta completamente carbonizzata: molto suggestivi, ma quante sostanze cancerogene o tossiche ci sono in quella crosta? Sicuramente decine...

 

 

 

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